Salzburg, Haus für Mozart, “Le Nozze di Figaro” di Wolfgang Amadeus Mozart
EROS EX MACHINA
Al Festival di Salisburgo è stato riproposto con successo l’allestimento delle Nozze di Figaro dell’anno scorso firmato da Claus Guth : una messa in scena minimale in sintonia con l’ estetica del regista che rifugge la componente meramente visuale in quanto limitativa della complessità del risultato musicale.
La vicenda viene ambientata all’inizio del ‘900, agli albori della psicanalisi, nell’androne di un palazzo patrizio vagamente jugendstil caratterizzato da una grande scala che conduce ai piani nobili.
L’impianto scenico è essenziale: una scala inondata di luce, delle porte, una tenda, ma efficace per mettere in situazione (creando le giuste distanze e prospettive) i personaggi, scure figure che si stagliano sulla scena. La luce si declina in base agli stati d’animo e disegna suggestive ombreggiature come l’ombra delle foglie del boschetto proiettate nella penombra.
Niente commedia da “folle journée” in queste Nozze (anche se l’ humour non manca), quanto una profonda analisi dei rapporti interpersonali e dei lati “oscuri” dell’esistenza.
Quello che interessa a Guth è seguire i personaggi nei loro meccanismi psicologici più profondi facendo emergere la componente irrazionale, lo smarrimento, le reazioni di fronte all’imprevisto e alle pulsioni che si risvegliano e che irrompono nella vita. Il regista introduce la presenza di un mimo, Eros alato, che innesca la vicenda, sfiorando senza intenzionalità i personaggi immobili, rianimandoli, risvegliandone i desideri, mettendo in discussione il sistema di relazioni fino all’assurdo.
Ed è proprio l’Eros, alter ego di Cherubino, il fulcro della vicenda; le sue manifestazioni si evidenziano in modo allusivo e sottile, mai plateale, nei gesti dei protagonisti che, fra felicità, delusione, dipendenza, sembrano inseguire un desiderio sempre interrotto e inappagato.
La gestualità è molto curata, i movimenti sono lenti, stilizzati, sincronizzati, spesso simmetrici, molto divertenti, ma soprattutto fedeli alla parola e alla musica e carichi di significato per mettere in luce l’aspetto interiore dei personaggi e la complessità delle relazioni.
Il finale del secondo atto è esemplare: tutti i personaggi sono schierati sul palcoscenico sormontati dai loro nomi proiettati sulla parete che funziona da lavagna, Eros traccia delle frecce che collegano le coppie “ufficiali” Susanna/Figaro, Conte/Contessa, ma poi nel progredire del vortice musicale e della confusione narrativa i collegamenti si moltiplicano, s’ingarbugliano, creando inedite relazioni in un gioco non privo di malizia che tutti travolge.
Ottima la direzione di Daniel Harding: fluttuante ed elastica, ricca di aperture e momenti di abbandono, capace di assecondare le intenzioni di regia cogliendo ogni dettaglio e sfumatura. L’orchestra dei Wiener Philarmoniker risponde in modo esemplare al gesto del giovane maestro facendo emergere nella chiarezza esecutiva sensuali sonorità e diffuso languore.
Gerald Finley è artisticamente maturato e con giusti tempi teatrali disegna un Conte molto credibile che proprio per le sue debolezze cattura la simpatia del pubblico. La voce è ben controllata, buoni il fraseggio e il registro centrale.
Dorothea Röschmann, la Contessa, ha una bella voce lirica, screziata e ben sostenuta. A livello interpretativo il personaggio risulta però monocorde e dalla un po’ drammaticità artificiosa.
Bravissima nella parte di Susanna Diana Damrau, che con tecnica ed intelligenza crea un personaggio brillante e ricco di sfumature, capace di passare dall’ironia all’abbandono, dall’arguta malizia al più dolce lirismo. La voce è lirica, di timbro non particolarmente seducente, ma ben controllata, buoni i passaggi, i pianissimi e in particolare i recitativi.
Martina Jankova ben suggerisce l’androginia e i turbamenti adolescenziali di Cherubino. Scenicamente il personaggio funziona, ma vocalmente risulta meno convincente, in quanto la voce sopranile, povera di colori e senza un registro grave adeguato, non restituisce tutte le ombre ed ambiguità della parte.
Luca Pisaroni è un Figaro “ intellettuale” (lontano dal Figaro buffo di tradizione), allampanato e un po’ impacciato, assorto a misurare la stanza tracciando gesti geometrici nel vuoto o a sfogliare un libricino per trovare la soluzione nei momenti d’impasse. La gestualità è pertinente e la voce ha bel timbro e nitida dizione, ma il giovane cantante non ha ancora la caratura per imporsi come protagonista.
Franz Joseph Selig nel ruolo di Bartolo ha voce possente, ma risulta troppo compassato e generico, Patrick Henckens propone una efficace caratterizzazione di Basilio, Marie McLaughlin è una vivace Marcellina.
Eva Liebau è una Barbarina scarmigliata che con voce chiara sembra lamentare la perdita, più che della spilla, della virginale purezza. Dalla gestualità caricaturale e disarticolata il divertente Antonio di Gabor Bretz.
Per concludere l’ottimo Uli Kirsch/ Eros, mimo onnipresente e leggero dal volto di Tadzio.
Una produzione intelligente e moderna, fedele allo spirito dell’opera e davvero esemplare per il riuscito connubio orchestra / palcoscenico. Musica e recitazione si fondono con grande naturalezza restituendo l’eterna verità delle Nozze, lontano dallo stereotipo e da inutili stravolgimenti.
Visto a Salzburg, Haus für Mozart, il 28 agosto 2007
Ilaria Bellini
Teatro